placeholder

La fiscalità del compenso della società nominata amministratore

La nomina di una società quale amministratore di un’altra impresa non è preclusa dalla normativa vigente, ma desumibile implicitamente proprio dalla stessa: si pensi, ad esempio al caso della s.r.l., per la quale l’art. 2463, co. 2, n. 8), c.c. stabilisce che il contenuto minimo obbligatorio dello statuto comprende anche la generica indicazione delle “persone cui è affidata l’amministrazione” e, quindi, non necessariamente di quelle fisiche. In senso conforme, pare deporre il successivo art. 2475, co. 1, c.c., secondo cui – salvo che l’atto costitutivo disponga diversamente – “l’amministrazione è affidata ad uno o più soci, nominati con decisione dei soci ai sensi dell’art. 2479”: in altri termini, qualora il capitale sociale della s.r.l. sia detenuto esclusivamente da persone giuridiche, la gestione della società è riservata ad una di esse.

La fattispecie in parola comporta, tuttavia, che i relativi compensi siano soggetti ad un regime fiscale differente rispetto a quelli maturati dall’amministratore persona fisica: in primo luogo, non è invocabile l’accantonamento al trattamento di fine mandato, in quanto riservato all’amministratore il cui reddito è assimilato a quello di lavoro dipendente. A ciò si aggiunga che il compenso ordinario maturato dalla società amministratore rappresenta il corrispettivo di una prestazione di servizi, rientrante nel campo di applicazione dell’IVA (art. 3 e 4, co. 2, n. 1), del D.P.R. 633/1972). L’operazione deve, pertanto, essere fatturata dall’amministratore persona giuridica, a seguito della riscossione del corrispettivo, salvo il caso di emissione anticipata del documento fiscale, a norma degli artt. 6, co. 3 e 4, e 21, co. 1, del predetto Decreto IVA. A questo proposito, si segnala che il pagamento in parola non è soggetto all’effettuazione della ritenuta fiscale, se l’amministratore è una società di capitali residente in Italia, oppure un soggetto estero con stabile organizzazione nel territorio dello Stato: tale ente consegue, infatti, un reddito d’impresa (R.M. 56/E/2006 e Cass. 534/2006), espressamente escluso dal campo di applicazione della disciplina sulla sostituzione d’imposta – limitato ai redditi da lavoro autonomo od assimilati a quelli di lavoro dipendente di cui agli artt. 53 e 50, co. 1, lett. c-bis), del D.P.R. 917/1986 – a norma del combinato disposto degli artt. 24, co. 1-ter e 25 del D.P.R. 600/1973. La predetta qualificazione di reddito d’impresa incide, inoltre, sul trattamento del compenso ai fini dell’imposizione diretta, sia in capo al soggetto erogante che all’amministratore persona giuridica: in particolare, vengono meno i presupposti di applicabilità del principio di cassa di cui all’art. 95, co. 5, del D.P.R. 917/1986 (norma di comportamento Aidc 182/2011), poiché il percipiente è soggetto a quello di competenza. La ratio di tale norma è, infatti, quella “di evitare che i diversi principi (competenza e cassa), che normalmente sottostanno alla determinazione del soggetto “erogatore” (la società) e del soggetto “percipiente” (l’amministratore persona fisica), generino una divergenza tra periodo di deduzione in capo all’erogante e di tassazione in capo al percipiente” (C.M. 57/E/2001, par. 7.1). In altri termini, la società amministrata deduce, anche ai fini IRAP, il compenso nell’esercizio di imputazione a conto economico, a prescindere dal momento di effettivo pagamento: tale importo concorre, quindi, alla formazione del reddito d’impresa e della base imponibile del tributo regionale dell’amministratore, secondo il medesimo principio di competenza.