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Nota di variazione IVA e procedure concorsuali

L’art. 26, co. 2, del D.P.R. 633/1972 stabilisce che il cedente o il prestatore di un’operazione soggetta a fatturazione può emettere una nota di variazione, qualora la fattispecie sia venuta meno – anche soltanto in parte – al verificarsi di una serie di cause, tra le quali è annoverato pure il mancato pagamento, in tutto od in parte, ascrivibile all’infruttuosità di una procedura concorsuale aperta a carico del cessionario o committente. La formulazione della norma fornisce, quindi, alcune specifiche indicazioni di carattere operativo: in primo luogo, la facoltà in parola non è invocabile nel caso di sopravvenuta insussistenza di una cessione di beni o prestazione di beni documentata da ricevuta o scontrino fiscale, oppure nell’ipotesi in cui il creditore legittimato non partecipi alla procedura concorsuale (C.M. 77/E/2000), o rinunci espressamente alla propria pretesa. Il riferimento al “cedente o prestatore” pone, inoltre, un dubbio interpretativo in merito al caso particolare della cessione del credito, rispetto al quale l’Agenzia delle Entrate ha escluso – coerentemente con l’orientamento della giurisprudenza di legittimità (Cass. 9188/2001 e 8455/2001) – il riconoscimento, in capo al cessionario del credito, del diritto all’emissione della nota di variazione IVA (R.M. 120/E/2009). Diversamente, il cedente conserva il diritto all’emissione della nota di variazione se ha trasferito il credito dopo aver ottenuto dalla procedura il riconoscimento preliminare della propria richiesta, rimanendo, però, parte processuale nel concorso.

Per quanto concerne, invece, l’individuazione delle “procedure concorsuali” a cui fa riferimento l’art. 26 del D.P.R. 633/1972, è necessario considerare l’art. 101, co. 5, del D.P.R. 917/1986, relativo alla disciplina della deducibilità, dal reddito d’impresa, delle perdite su crediti. Il secondo periodo della disposizione stabilisce, infatti, che il debitore si considera assoggettato a “procedura concorsuale”, a partire dalla data di uno dei seguenti atti:

  • sentenza dichiarativa di fallimento;
  • provvedimento ordinante la liquidazione coatta amministrativa;
  • decreto di ammissione al concordato preventivo;
  • decreto disponente l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi.

La medesima disposizione trova, inoltre, applicazione dalla data del decreto di omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti (art. 182-bis del R.D. 267/1942), o dal giorno di pubblicazione – presso il Registro delle Imprese – del piano attestato di risanamento (art. 67, co. 3, lett. d), del R.D. 267/1942).

Circoscrivendo l’analisi alle procedure maggiormente diffuse, ovvero il fallimento ed il concordato preventivo, il diritto all’emissione della nota di variazione IVA sorge in momenti differenti, a seconda della tipologia di procedura concorsuale e delle disponibilità della stessa: secondo l’Agenzia delle Entrate, nell’ipotesi di fallimento, la facoltà matura per effetto del decorso del termine fissato per la presentazione delle osservazioni al piano di ripartizione finale stabilito dal giudice delegato, oppure – in mancanza di somme da destinare alla soddisfazione dei creditori – per la proposizione del reclamo avverso il decreto di chiusura del fallimento (C.M. 77/E/2000): in altre parole, è possibile fare riferimento alla data di esecutività del piano di ripartizione finale o di chiusura del fallimento (R.M. 89/E/2002). In senso conforme, anche Cass. 1541/2014 e 27136/2011.

Tale posizione non è, peraltro, condivisa da autorevole dottrina (norma di comportamento AIDC 192/2015) e da una parte della giurisprudenza di merito (CTP Vicenza 145/2/2019), anche alla luce dell’orientamento della Corte di Giustizia UE, causa C-246/16: in tale contesto, si inserisce pure la Cass, 25896/2020.

Nel caso del concordato preventivo, a parere dell’Amministrazione Finanziaria, l’emissione della nota di variazione IVA non può ritenersi ammissibile prima che sia conclusa, nel caso di procedura con cessione dei beni, la liquidazione giudiziale: in senso conforme, si veda la R.M. 161/E/2001, secondo cui tale facoltà può essere esercitata a seguito dell’adempimento del concordato preventivo “al fine di adeguare l’imposta al corrispettivo effettivamente incassato”. Analogamente, si è espressa l’Agenzia delle Entrate, con la risposta ad interpello 113/2018.