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La valutazione civilistica delle rimanenze di beni fungibili

L’art. 2426, n. 9), c.c. stabilisce che le giacenze di magazzino – analogamente ai titoli ed alle attività finanziare non costituenti immobilizzazioni – sono iscritte in bilancio al costo di acquisto o di produzione oppure, se inferiore, al valore di presumibile realizzazione desumibile dall’andamento del mercato. Il costo in parola è determinato a norma del precedente n. 1) della predetta disposizione civilistica, riguardante la valutazione delle immobilizzazioni, secondo cui nel costo di acquisto si computano anche gli oneri accessori (spese di trasporto e sdoganamento, tributi specifici, ecc.). Il costo di produzione comprende tutte le spese direttamente imputabili al prodotto (ad eccezione di quelle di distribuzione), nonché altri oneri per la quota ragionevolmente ascrivibile allo stesso, relativi al periodo di produzione e fino al momento dal quale il bene può essere commercializzato. Conseguentemente, possono essere aggiunti al costo anche gli oneri relativi al finanziamento della produzione, interna o presso terzi, purchè ricorra uno dei casi eccezionali contemplati dal principio contabile nazionale OIC 13 (par. 39). Gli interessi passivi sono, infatti, generalmente esclusi dalla determinazione del costo delle rimanenze, salvo che si tratti di quelli derivanti da un finanziamento contratto a fronte di specifici beni che richiedono un processo produttivo prolungato, il cui completamento può comportare il decorso di alcuni anni, prima che il prodotto divenga collocabile sul mercato e, quindi, commercializzabile. Può essere, il caso, ad esempio, del brandy, che necessita di un pluriennale periodo di invecchiamento, oppure dei salumi e formaggi, soggetti alla fase della stagionatura. Al ricorrere della suddetta ipotesi, è possibile imputare al costo delle rimanenze di beni gli oneri finanziari realmente sostenuti, limitatamente al periodo di produzione, a condizione che l’importo complessivo risultante dalla capitalizzazione non ecceda il valore netto di realizzo, e se ne fornisca adeguata indicazione nella nota integrativa al bilancio d’esercizio (art. 2427, co. 1, n. 7), c.c.).

Nel caso dei beni fungibili, l’applicazione della predetta disciplina generale di determinazione del costo specifico può, tuttavia, essere derogata, utilizzando uno dei metodi individuati dall’art. 2426, n. 10), c.c.: media ponderata, Fifo (primo entrato, primo uscito) o Lifo (ultimo entrato, primo uscito). Qualora l’impresa si avvalga di tale facoltà, ed ottenga un valore che differisce, in misura apprezzabile, dai costi correnti alla chiusura dell’esercizio, lo scostamento deve essere indicato – per categoria di beni – nella nota integrativa.

Ai fini della corretta iscrizione in bilancio delle rimanenze di magazzino, è altresì necessario, come anticipato, verificare che il costo così ottenuto non sia superiore al valore di realizzazione desumibile dall’andamento del mercato, ovvero al costo di sostituzione – per i beni destinati ad essere impiegati nel processo produttivo – oppure al valore netto di realizzo, con riferimento alle merci, ai prodotti finiti, ai semilavorati di produzione ed ai prodotti in corso di lavorazione. Diversamente, se tale valore di presumibile realizzazione è inferiore al costo di acquisto o produzione, si deve procedere alla corrispondente svalutazione delle rimanenze di magazzino: tale minor valore non può, però, essere mantenuto nei successivi bilanci, qualora ne vengano, poi, meno i motivi sottostanti.