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L’atto di fusione della società in pendenza del concordato preventivo

La realizzazione della fusione all’interno del concordato preventivo, sebbene di difficile attuazione nella pratica, è ritenuta da una parte della dottrina la miglior soluzione percorribile in grado di garantire il voto favorevole dei creditori alla proposta: all’atto del voto della proposta del piano concordatario, infatti, la fusione sarà già perfezionata e, pertanto, non vi saranno dubbi sul compimento dell’operazione. Tuttavia, qualora si decida di realizzare una fusione nell’ambito del concordato preventivo, possono verificarsi alcune criticità collegate ai tempi di realizzazione dell’operazione straordinaria, posto che la stessa deve necessariamente perfezionarsi prima che i creditori esprimano il loro voto alla proposta del debitore. Attuare un’operazione di fusione prima ancora che i creditori si siano espressi in ordine all’operazione può essere rischioso, tenuto conto del fatto che:

  • se l’adunanza dei creditori esprimerà un voto negativo alla proposta concordataria, allora l’operazione sarà assunta inutilmente, considerando l’irreversibilità della fusione;
  • l’amministrazione di una società ammessa ad una procedura di concordato preventivo è vincolata dalle norme poste a tutela dei creditori. Si pensi, ad esempio, a quanto prescritto dall’art. 94, co. 2, del D.Lgs. 14/2019, che richiede la preventiva autorizzazione giudiziale per gli atti di straordinaria amministrazione, tra cui rientra l’atto di fusione. La sottoposizione all’autorizzazione del Giudice Delegato comporterà, senza dubbio, oltre a motivi di incertezza sulla conclusione dell’operazione, anche talune problematiche relative alle tempistiche dell’operazione di fusione.

In tale contesto, occorre sottolineare anche l’esistenza di un problema relativo alle opposizioni dei creditori: infatti, sia per l’operazione di fusione che per l’omologazione del concordato è prevista la possibilità per i creditori di proporre opposizione. Queste due forme di tutela sono, tuttavia, fondate su motivi in parte divergenti:

  • l’opposizione alla fusione è finalizzata a tutelare gli interessi del creditore contro la riduzione della garanzia patrimoniale da parte del debitore;
  • l’opposizione all’omologazione della proposta concordataria può essere praticata in presenza di motivi di legittimità, salvo le ipotesi di impugnazione nel merito predisposte dalla legge fallimentare.

Si pone dunque un problema di raccordo tra le due forme di tutela, che inevitabilmente andrà preso in considerazione e risolto. A questo proposito, si segnala che l’art. 116, co. 1, del D.Lgs. 14/2019 stabilisce che se il piano di concordato preventivo prevede il compimento, durante la procedura oppure dopo la sua omologazione, di operazioni di trasformazione, fusione o scissione della società debitrice, la validità di tali atti può essere contestata dai creditori soltanto con l’opposizione all’omologazione.