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La fiscalità delle plusvalenze nel concordato preventivo

La cessione dei beni nell’ambito del concordato preventivo usufruisce di un evidente beneficio fiscale, rappresentato dalla non imponibilità, ai fini della determinazione del reddito d’impresa, delle plusvalenze da alienazione (art. 86, co. 5, del D.P.R. 917/1986): analogamente, sono indeducibili le eventuali minusvalenze.

Il riferimento della norma anche alle rimanenze ed al valore dell’avviamento dovrebbe, inoltre, far ritenere che il suddetto regime di detassazione riguardi pure le plusvalenze derivanti dalla cessione dell’azienda del debitore in concordato, o di rami della stessa, e non soltanto di singoli beni.

La suddetta disposizione del TUIR, a dispetto della propria formulazione, non si applica esclusivamente alle cessioni di beni ai creditori, ma a tutti i trasferimenti a terzi dei cespiti, in esecuzione dell’omologata proposta di concordato preventivo (Cass. 11699/2007, 22168/2006 e 5112/1996). In tale procedura, infatti, non si effettua la cessione dei beni ai creditori, salvo che a quelli di essi risultanti aggiudicatari della relativa procedura competitiva.

Secondo l’Agenzia delle Entrate, l’art. 86, co. 5, del TUIR non è applicabile alle plusvalenze e minusvalenze derivanti dalla cessione di beni non strategici, effettuate nell’ambito del concordato preventivo con continuità aziendale «diretta» (risposta ad interpello n. 462 del 31.10.2019). In altri termini, alle plusvalenze e alle minusvalenze derivanti dalla cessione dei beni non strategici all’esercizio dell’attività d’impresa, nell’ambito di un concordato preventivo con continuità aziendale, sono applicabili le regole generali di determinazione del reddito d’impresa, con l’effetto che le stesse rilevano nell’esercizio di competenza.

A parere dell’Amministrazione Finanziaria, l’intenzione del legislatore è quella di circoscrivere la non rilevanza delle plusvalenze e delle minusvalenze ad un’ipotesi in cui “dopo il concordato non ci sia più esercizio di impresa” (R.M. 29/E/2004).

Rimane, naturalmente, ferma la possibilità di scomputare le perdite fiscali, in virtù delle regole ordinarie.

Ai fini della determinazione della base imponibile IRAP delle società di capitali, non è previsto alcun trattamento differenziato tra le imprese in bonis e quelle in concordato preventivo: la plusvalenza derivante dalla cessione dell’azienda è sempre irrilevante (art. 5 del D.Lgs. 446/1997, coerentemente con la CM 27/2009/E par. 1.2), a dispetto di quella realizzata per effetto della vendita di un bene patrimoniale, ovvero non strumentale, né alla cui produzione o al cui scambio è diretta l’attività dell’impresa (art. 5 co. 3, secondo periodo, D.Lgs.  446/1997).

Nel caso in cui il debitore sia un soggetto IRPEF, gli effetti della cessione dei beni sono completamente irrilevanti, in quanto le plusvalenze e le minusvalenze, così come le sopravvenienze, sono espressamente escluse dalla determinazione del valore della produzione netta delle imprese individuali e società di persone, che non abbiano optato per l’applicazione delle regole previste per le società di capitali e gli enti commerciali (art. 5-bis, co. 1, primo periodo, del D.Lgs. 446/1997).