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I principi civilistici dell’affitto d’azienda

L’affitto d’azienda rappresenta lo strumento attraverso il quale il proprietario di un complesso organizzato di beni (c.d. concedente) procede al trasferimento temporaneo dello stesso, in cambio dell’assunzione di alcune obbligazioni da parte del beneficiario di tale operazione (c.d. affittuario): in particolare, la conservazione della destinazione economica e dell’efficienza organizzativa di quanto ricevuto in locazione, nonché il pagamento, nei termini concordati, di un congruo[1] canone periodico di godimento.

Sotto il profilo civilistico, il contratto d’affitto d’azienda è soggetto, tra l’altro[2], all’art. 2112 c.c., posto a tutela dei lavoratori subordinati, con la previsione, tra l’altro, della responsabilità solidale dell’affittuario con il concedente per i debiti maturati da quest’ultimo nei confronti dei dipendenti trasferiti per effetto della locazione. Tale norma è, tuttavia, derogabile – in parte o totalmente (art. 47 della Legge 29 dicembre 1990, n. 428) – in presenza di un accordo sindacale, sottoscritto in specifiche situazioni di difficoltà.

Non trova, invece, applicazione l’art. 2560, comma 2, c.c., in tema di responsabilità solidale civilistica per tutti i debiti maturati dal cedente (o conferente), così come risultanti dai libri contabili obbligatori. La Cass. 9 ottobre 2017, n. 23581 e Cass. 10.2.2023, n. 4248 hanno, tuttavia, ritenuto efficace tale norma pure nel caso di restituzione dell’azienda affittata, anche alla luce di quanto previsto dall’art. 104-bis del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, con un orientamento ampiamente criticato dalla dottrina.

È parimenti dubbio l’assoggettamento dell’affitto d’azienda al regime di responsabilità solidale tributaria di cui all’art. 14 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, in quanto l’ambito applicativo della norma è esteso “a tutte le ipotesi di trasferimento di azienda, ivi compreso il conferimento”.

[1] Il contratto d’affitto d’azienda non deve essere suscettibile di sviare l’avviamento del concedente, né di consentire all’affittuario di esercitare l’azienda versando un canone periodico esiguo ed iniquo (Cass. 6 ottobre 2010, n. 35882, e 2 dicembre 2008, n. 44891), oppure omettendo il pagamento dello stesso (Cass. 20 giugno 2013, n. 27207).

[2] Nel codice civile, è rinvenibile una solo disposizione rubricata all’affitto d’azienda, l’art. 2562 c.c., che rinvia, però, alle norme sull’usufrutto di cui al precedente art. 2561 c.c.: il relativo contratto è soggetto alla medesima forma prevista per la cessione d’azienda, individuata dall’art. 2556 c.c., che ne dispone la redazione in forma scritta (atto pubblico o scrittura privata autenticata), in quanto richiesta per la prova e ai fini dell’opponibilità nei confronti dei terzi.