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I patti parasociali della s.p.a.

Gli artt. 2341-bis e 2341-ter c.c. regolamentano i patti parasociali delle società per azioni, ovvero gli accordi non necessariamente formali, generalmente raggiunti dagli azionisti, anche successivamente alla costituzione della s.p.a., al fine di disciplinare specifici rapporti o diritti che potrebbero derivare dal contratto sociale, ovvero porre peculiari obblighi in capo ad alcuni soggetti. La formazione dei patti parasociali non è riservata esclusivamente agli azionisti, potendo parteciparvi anche i titolari di altri diritti sulle azioni della s.p.a., quali, ad esempio, il creditore pignoratizio, il custode giudiziario o l’usufruttuario: lo stesso dicasi per i soggetti terzi, privi della qualità di azionista, purchè l’accordo riguardi l’esercizio – da parte degli azionisti – di diritti, facoltà o poteri ad essi spettanti nell’ambito della s.p.a. partecipata (Cass. 15963/2007). Ferma restando l’inefficacia dello stesso nei confronti della società, rilevando esclusivamente nei rapporti tra i partecipanti all’accordo (Trib. Milano 19.4.2010).

I patti parasociali presentano alcune particolari caratteristiche, così come individuate dall’art. 2341-bis, co. 1 e 2, c.c., non applicabili “ai patti strumentali ad accordi di collaborazione nella produzione o nello scambio di beni o servizi relativi a società interamente possedute da partecipanti all’accordo”: in primo luogo, hanno per oggetto l’esercizio del diritto di voto nella s.p.a., oppure in proprie controllanti (c.d. sindacato di voto), potendo riguardare sia la predeterminazione del voto che l’istituzione di un’organizzazione incaricata di definire i procedimenti di formazione della volontà comune. Inoltre, pongono limiti al trasferimento delle relative azioni o partecipazioni delle controllanti (c.d. sindacato di blocco), ovvero di strumenti finanziari che conferiscono il diritto di sottoscrivere le azioni della società, come quelli previsti dagli artt. 2346, co. 6, e 2349, co. 2, c.c.: determinano altresì l’effetto della disponibilità, anche congiunta, dell’influenza dominante sulla società interessata (c.d. sindacato di gestione). È il caso, ad esempio, degli accordi con cui gli azionisti si impegnano a fare in modo che gli amministratori, nominati grazie ai propri voti, si conformino a pattuizioni riguardanti la gestione societaria, replicandole nelle sedi opportune e dandovi esecuzione (Trib. Milano 2.7.2001).

Non possono, inoltre, avere una durata superiore ai 5 anni: in mancanza, il patto parasociale si presume stipulato per tale termine quinquennale, e ciascun contraente ha diritto di recedere con un preavviso di 180 giorni. Devono, pertanto, ritenersi nulle le clausole dirette ad aumentare il limite della durata del patto parasociale, oppure del preavviso richieste al recedente: è, invece, ammessa la possibilità di ridurre quest’ultimo termine, rispetto a quello legale di 180 giorni.

I patti parasociali sono rinnovabili alla scadenza, ma non tacitamente: non è neppure ammessa una clausola che preveda, anticipatamente, la fattispecie del rinnovo, in quanto finirebbe per trasformare, di fatto, il patto parasociale a termine in uno a tempo indeterminato. Qualora il patto parasociale abbia una durata annuale tacitamente rinnovabile, per un periodo di pari estensione, l’accordo si presume contratto a tempo indeterminato, con il conseguente riconoscimento del diritto di recesso in capo ai partecipanti (App. Milano 747/2009).