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Rinuncia al TFM amministratori, effetti fiscali differenziati per la società

La fattispecie della remissione del credito maturato dal componente dell’organo di gestione, che risulti anche socio della società amministrata, è disciplinata dall’art. 88, co. 4-bis, del D.P.R. 917/1986 – applicabile dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 7.10.2015 (ovvero dal 2016 per i contribuenti aventi l’esercizio coincidente con l’anno solare) – secondo cui “La rinuncia dei soci ai crediti si considera sopravvenienza attiva per la parte che eccede il relativo valore fiscale. A tale fine, il socio, con dichiarazione sostitutiva di atto notorio, comunica alla partecipata tale valore; in assenza di tale comunicazione, il valore fiscale del credito è assunto pari a zero”.

La R.M. 124/E/2017 ha precisato che tale disciplina si applica a tutte le tipologie di crediti, a prescindere dalla circostanza che abbiano natura commerciale o finanziaria, dalle modalità mediante le quali viene svolta l’operazione e dai principi contabili utilizzati dai soggetti coinvolti. In particolare, tanto per le operazioni di rinuncia diretta a crediti originariamente sorti in capo al socio, quanto per quelle precedute dall’acquisto del credito (o della partecipazione) da parte del socio (o del creditore), questo regime qualifica fiscalmente come “apporto” la sola parte di rinuncia che corrisponde al valore fiscalmente riconosciuto del credito. Quest’ultimo è individuato sulla base della comunicazione che il socio deve fornire alla partecipata, mediante dichiarazione sostitutiva di atto notorio (o atto estero equivalente), in assenza della quale il valore fiscale del credito rinunciato è assunto pari a zero, con la conseguenza che il debitore assoggetta ad imposizione tutta la sopravvenienza attiva. In altri termini, nei limiti del valore fiscale del credito, il socio aumenta il costo della partecipazione – come previsto dagli artt. 94, co. 6, e 101, co. 7, del TUIR – e il soggetto partecipato rileva fiscalmente un apporto non tassabile: l’eccedenza costituisce, invece, una sopravvenienza attiva imponibile per il soggetto partecipato, a prescindere dal relativo trattamento contabile, con l’effetto che si può generare un fenomeno di tassazione da gestire con una variazione in aumento in sede di dichiarazione dei redditi. A questo proposito, l’Agenzia delle Entrate ha anche richiamato le precedenti R.M. 41/E/2001, e R.M. 152/E/2002, secondo cui l’irrilevanza reddituale della rinuncia e della correlata sopravvenienza attiva – attualmente, nei limiti del valore fiscale del credito oggetto di rinuncia – trova giustificazione nella volontà del socio di patrimonializzare la società partecipata. Sul punto, l’Amministazione Finanziaria ha osservato che, invero, l’intassabilità della rinuncia ai crediti da parte dei soci si giustifica, in via sistematica, in virtù della cointeressenza del socio-creditore alle vicende della società partecipata. La patrimonializzazione di quest’ultima si riflette, infatti, nell’attivo della partecipante, attraverso un corrispondente aumento del costo della partecipazione. Per il socio l’onere derivante dalla rinuncia non è immediatamente deducibile, ma incrementa il costo della partecipazione.

Nel caso in cui, invece, la rinuncia trovi causa nell’animus donandi o nella remissione del debito da parte di un soggetto terzo, l’intera sopravvenienza attiva dovrà essere tassata in capo alla società partecipata in base all’art. 88, co. 1, del TUIR.

Alla luce di tali considerazioni, tenuto conto della volontà degli amministratori-soci di apportare, mediante la rinuncia alle quote di TFM accantonate dalla società, nuove risorse al patrimonio della partecipata, con il conseguente aumento del costo della partecipazione, la R.M. 124/E/2017 è giunta ad alcune specifiche conclusioni:

  • la società partecipata non deve tassare alcuna sopravvenienza attiva – ai sensi dell’art. 88, co. 4-bis, del D.P.R. 917/1986 – in quanto si è in presenza di crediti per il TFM dovuto a persone fisiche non esercenti un’attività di impresa e, pertanto, non è ravvisabile alcuna differenza tra il valore fiscale dei crediti e il loro valore nominale;
  • non è necessaria la comunicazione alla società partecipata del valore fiscale dei crediti oggetto di rinuncia (art. 88, co 4-bis, secondo periodo, del TUIR), non potendosi verificare – a causa, appunto, della coincidenza tra il valore nominale dei crediti e quello fiscale, ovvero della mancanza di rettifiche di valore (ad esempio, svalutazioni) – quelle distorsioni che il legislatore ha inteso scongiurare e che sono ravvisabili soltanto in presenza di un’attività di impresa.

La R.M. 124/E/2017 ha escluso l’applicabilità dell’art. 88, co. 4-bis, del D.P.R. 917/1986 alla rinuncia al TFM operata dall’amministratore non socio, in quanto tale disposizione fa riferimento, in modo esplicito, alla qualifica di socio. La fattispecie è, pertanto, soggetta alla disciplina recata dal precedente co. 1, secondo cui “si considerano sopravvenienze attive i ricavi o altri proventi conseguiti a fronte di spese, perdite od oneri dedotti o di passività iscritte in bilancio in precedenti esercizi e i ricavi o altri proventi conseguiti per ammontare superiore a quello che ha concorso a formare il reddito in precedenti esercizi, nonché la sopravvenuta insussistenza di spese, perdite ed oneri dedotti o di passività iscritte in bilancio o in precedenti esercizi”. Pertanto, a seguito della rinuncia degli amministratori non soci, se la società istante ha dedotto le quote di TFM accantonate, dovrà assoggettare a tassazione una corrispondente sopravvenienza attiva. In caso contrario, la rinuncia non avrà effetto fiscale.