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La valutazione fiscale delle rimanenze di magazzino

I criteri di stima tributaria delle giacenze finali di beni fungibili, il cui scostamento rispetto al dato dell’inizio del periodo d’imposta rileva ai fini del calcolo del reddito d’impresa, sono stabiliti dall’art. 92 del D.P.R. 917/1986. La disposizione è, pertanto, applicabile ai beni di cui al precedente art. 85, co. 1, lett. a) e b), del TUIR: è il caso, ad esempio dei beni alla cui produzione o al cui scambio è diretta l’attività d’impresa, o di quelli acquistati o prodotti per essere impiegati nella produzione (materie prime, sussidiarie e di consumo, semilavorati ed altri beni mobili non strumentali), semilavorati e prodotti finiti. La valutazione fiscale di tali beni, qualora non sia effettuata a costi specifici, richiede il preventivo raggruppamento degli stessi in categorie omogenee per natura e valore o contenuto economico (R.M. 2/929/1974), e la successiva stima in base ad un valore non inferiore a quello risultante dall’applicazione del criterio di determinazione del costo secondo il metodo della media ponderata, del Lifo o Fifo. Sul punto, si rammenta che il costo deve essere assunto nella propria configurazione fiscale, definita dal principio generale di cui all’art. 110, co. 1, lett. b), del D.P.R. 917/1986, comprendente anche gli oneri accessori di diretta imputazione, con espressa esclusione delle spese generali e degli interessi passivi. Tale principio è, tuttavia, derogabile, in casi eccezionali, con esclusivo riferimento agli oneri finanziari imputati ad incremento del costo delle rimanenze finali, nel rispetto dei corretti principi contabili (R.M. 3/DPF/2008).

Sotto il profilo operativo, l’art. 92, co. 2 e 3, del TUIR contempla l’applicazione del Lifo a scatti annuale, in virtù del quale – nel primo esercizio in cui si verificano – le giacenze finali di beni fungibili sono valutate sulla base del costo medio ponderato di acquisto o produzione. Negli esercizi successivi, se le rimanenze sono invariate, può essere mantenuto lo stesso valore unitario dello precedente periodo d’imposta. Diversamente, se la quantità delle giacenze è aumentata, l’eccedenza deve essere valutata al costo medio ponderato dell’esercizio, e costituisce una voce distinta dalle rimanenze formatesi in precedenti esercizi: nel caso di diminuzione, la stessa deve essere imputata agli incrementi generatisi nei precedenti esercizi, a partire dal più recente. In alternativa, il co. 4 riconosce la rilevanza fiscale del valore derivante dall’adozione, in bilancio, del metodo della media ponderata, del Fifo o di varianti del Lifo a scatti. Il successivo co. 5 ammette, tuttavia, una deroga al valore unitario minimo dei beni di cui al co. 1, qualora lo stesso sia superiore al valore normale medio degli stessi rilevato nell’ultimo mese del periodo d’imposta: al ricorrere di tale ipotesi, il valore minimo fiscale delle rimanenze è determinato moltiplicando l’intera quantità dei beni, indipendentemente dall’esercizio di formazione, per il valore normale (art. 9, co. 3, del TUIR). Tale regola non trova applicazione nei confronti dei beni valutati sulla base dei corrispettivi pattuiti (art. 93 del D.P.R. 917/1986), o con il metodo del dettaglio (art. 92, co. 8, del TUIR): una parte della dottrina ritiene che sia, invece, invocabile per i beni unici stimati a costi specifici (norma di comportamento AIDC 168/2007).