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Fiscalità agevolata nella composizione negoziata della crisi

L’art. 25-bis, co 5, del D.Lgs. 14/2019 dispone che, nel caso del contratto con uno o più creditori e dall’accordo stragiudiziale firmato anche dall’esperto (art. 23, co. 1, lett. a) e c), CCII) pubblicati nel Registro delle Imprese, ovvero degli accordi di ristrutturazione dei debiti (artt. 57, 60 e 61 CCII), si applicano gli artt. 88, co. 4-ter, e 101, co. 5, del D.P.R. 917/1986.

Il rinvio all’art. 88, co. 4-ter, del TUIR dovrebbe interpretarsi nel senso che alle sopravvenienze attive da riduzione dei debiti eventualmente derivanti da tale contratto o accordo si applicano gli stessi principi statuiti per il piano attestato di risanamento pubblicato presso il Registro delle imprese, analogamente agli accordi di ristrutturazione dei debiti omologati e ai concordati di risanamento. Conseguentemente, in sede di determinazione del reddito d’impresa, tali componenti positivi saranno detassati per la sola eccedenza rispetto alla sommatoria delle perdite fiscali pregresse e di periodo di cui all’art. 84 del D.P.R. 917/1986 – senza considerare il limite dell’80% (risposte ad interpello 85/2018, 120/2018 e 183/2023) – e degli interessi passivi indeducibili riportati a norma dell’art. 96, co. 4, del TUIR, della deduzione ACE e delle eventuali eccedenze della stessa.

Il richiamo all’art. 101, co. 5, del D.P.R. 917/1986 appare, invece, generico in quanto tale disposizione contiene tutta la disciplina della deducibilità, sempre dal reddito d’impresa, delle perdite su crediti, sia il criterio generale – fondato sulla prova degli “elementi certi e precisi” – che quello semplificato per i casi in cui il debitore si trovi in una situazione di crisi. Alla luce della natura stragiudiziale di questi contratti e accordi, e del presupposto della pubblicazione presso il Registro delle imprese, dovrebbero ritenersi applicabili le medesime regole previste per il piano attestato di risanamento, con l’effetto che la perdita su crediti “fiscale” è deducibile a partire dalla data di pubblicazione camerale del contratto o dell’accordo stragiudiziale.

Alle stesse conclusioni si dovrebbe pervenire con riguardo all’emissione della nota di variazione IVA da parte del creditore, con riferimento alla quota di cui non è prospettata la soddisfazione, con conseguente applicazione della disciplina del piano attestato di risanamento (art. 26, co. 3-bis, lett. a), del D.P.R. 633/1972), con maturazione del relativo diritto di rettifica a partire dalla data di pubblicazione del documento nel Registro delle imprese.

Non è, invece, disposto nulla relativamente al trattamento delle eventuali plusvalenze e minusvalenze derivanti dall’esecuzione del contratto o dell’accordo di cui all’art. 23, co. 1, lett. a) e c), CCII, analogamente ai piani attestati di risanamento, agli accordi di ristrutturazione dei debiti ed ai concordati preventivi con continuità aziendale “diretta” (risposta ad interpello 462/2019). In altri termini, non dovrebbe trovare applicazione l’art. 86, co. 5, del TUIR, in quanto ritenuto applicabile esclusivamente ai concordati preventivi liquidatori e, a mio parere, a quelli con continuità aziendale “indiretta” (interrogazione parlamentare 5-00047 del 20 settembre 2018), oltre a quelli semplificati per la liquidazione del patrimonio (artt. 25-sexies e 25-septies CCII). Secondo il consolidato orientamento dell’Amministrazione finanziaria, l’intenzione del legislatore è, infatti, quella di circoscrivere l’irrilevanza delle plusvalenze e delle minusvalenze, in sede di determinazione del reddito d’impresa, alle ipotesi in cui “dopo il concordato non ci sia più esercizio di impresa” (R.M. 29/E/2004).