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Affitto d’azienda e deduzione dei costi

La deducibilità dei costi relativi all’affitto d’azienda è, in alcuni casi, priva di una specifica disciplina, con la relativa necessità di fare affidamento ai principi generali dell’ordinamento giuridico. Nel caso delle spese di manutenzione e riparazione, è opportuna una specifica regolamentazione da parte del contratto, in merito al soggetto obbligato alla loro esecuzione ed ai corrispondenti meccanismi di remunerazione tra le parti: in mancanza, si deve fare riferimento alle disposizioni sulle locazioni, secondo cui le manutenzioni e riparazioni straordinarie competono al concedente, mentre quelle ordinarie spettano all’affittuario. In relazione ai costi sostenuti da quest’ultimo, si pongono alcune problematiche di carattere fiscale, in quanto riguardanti beni di proprietà di terzi: qualora si tratti di interventi ordinari, non dovrebbe, tuttavia, operare la limitazione della deducibilità di cui all’art. 102, co. 6, del D.P.R. 917/1986, che è fissata nel 5% del costo complessivo fiscale dei beni risultante, all’inizio del periodo d’imposta, dal registro dei beni ammortizzabili. In altri termini, i costi in parola, in quanto sostenuti su beni di terzi, dovrebbero ritenersi integralmente deducibili, nel periodo d’imposta di competenza, senza limitazioni (Direzione Imposte Dirette, nota 9/543/1979): in senso contrario, si è, invece, espressa una parte della dottrina, anche in considerazione del fatto che l’affittuario è tenuto a tenere il registro non solo dei beni propri ma anche di quelli affittati (DRE Emilia Romagna, nota 42049/1996). Nessun dubbio sussiste, invece, con riferimento alle spese di manutenzione straordinaria eventualmente sostenute dall’affittuario, in deroga contrattuale al principio generale: coerentemente con i principi contabili nazionali, devono ritenersi deducibili lungo la durata dell’affitto d’azienda.

Anche la disciplina di ammortamenti ed accantonamenti, relativi ai beni affittati, dipende da quanto previsto dal contratto d’affitto: in particolare, se non è stabilita una deroga al regime convenzionale di cui all’art. 2561 c.c., l’affittuario è obbligo a conservare l’efficienza organizzativa e degli impianti, liquidando al concedente – al termine del contratto – un conguaglio in denaro per l’eventuale perdita di valore corrente sofferta dall’azienda affittata, escluso dal campo di applicazione dell’IVA, trattandosi di un’indennità di tipo risarcitorio (art. 3, co. 2, lett. a), del D.P.R. 633/1972). A questo proposito, l’affittuario effettua l’accantonamento ad un fondo di reintegrazione, commisurato al costo fiscale dei beni affittati, in misura pari ai coefficienti di cui al D.M. 31 dicembre 1988, sino a concorrenza del costo non ancora ammortizzato presso il concedente, il quale sospende, quindi, il processo di ammortamento sui beni locati. L’accantonamento in parola è deducibile dal reddito d’impresa, a norma dell’art. 102, co. 8, del D.P.R. 917/1986 – anche con riferimento alle immobilizzazioni immateriali (art. 103, co. 4, del TUIR) – e pure dalla base imponibile IRAP, come confermato anche dall’Agenzia delle Entrate (CM 26/E/2012), mediante un’apposita variazione in diminuzione.

Diversamente, qualora il contratto deroghi espressamente al regime convenzionale, escludendo l’ipotesi del conguaglio, gli ammortamenti continuano ad essere effettuati dal concedente, e nessun accantonamento – a titolo di ripristino – è operato dall’affittuario.